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Fadwa Tuqan – Terza parte

Ogni mese parlo di una figura femminile alla quale sarà dedicato l’articolo del venerdì.
Una rubrica dedicata a donne straordinarie dell’Islam.
Febbraio è dedicato a  Fadwa Tuqan una delle voci più note della poesia palestinese. Nelle sue opere letterarie ha trattato della lotta del suo popolo, l’Intifada, la sofferenza e le atrocità della guerra, ma sopratutto ha dato voce alla condizione femminile nel mondo arabo.
Le donne dell’islam – Fadwa Tuqan

Dopo il viaggio in Inghilterra del 1962 presso l’Università di Oxford scrive “Davanti alla porta chiusa”:

In quest’opera troviamo l’eco della esperienza inglese e della incomprensione degli occidentali per il dramma palestinese. Fadwa inizia a maturare dentro di sé l’impegno politico.

“Ahimè come puoi pensare?

Qui, nel vostro paese, fitta nebbia e fuliggine

Avvolgono tutte le cose…offuscano la luce.

Gli occhi non vedono che ciò

Che son costretti a vedere…”

Quella che fino ad allora era stata la poetessa del nostalgico amore e dell’elegia per i fratelli defunti, assunse una ferma e decisa posizione che la portò in prima linea nella lotta contro l’usurpazione.

I suoi versi si trasformarono in un fiero grido d’accusa, suscitando l’indiretto apprezzamento del generale Mosheh Dayan, il quale disse che arrecava più danno ad Israele una poesia di Fadwa che dieci attentati. Ma è, sicuramente, a partire dal 1967, dopo la Guerra dei sei giorni, che i versi della Tuqan si riempiono di ardore, rabbia e ostilità verso l’occupante.

Nel 1968 Fadwa incontrò per la prima volta i poeti della resistenza

Frutto di questo incontro fu la poesia “Non piangerò” alla quale Mahmud Darwis rispose con “Diario di una ferita palestinese”.

Nel 1969 venne pubblicata a Beirut la sua quinta raccolta di poesie, “La notte e i cavalieri”, con ricorrenti temi nazionalisti.

Con questa opera Fadwa entra a far parte di diritto dei poeti della resistenza palestinese

Sia che canti l’amore, sia i suoi versi contro l’occupazione, Fadwa rimane una poetessa romantica, sensibilissima alle proprie e alle altrui sofferenze. Gli sviluppi della sua opera sono espressioni delle varie fasi della vita: la solitudine, la nuova fiducia, la speranza di felicità, la consapevolezza e l’impegno, in una sempre più profonda presa di coscienza artistica e sociale.

Nella poesia “Dietro le mura” esprime la ribellione all’ingiustizia e alla arretrata tradizione, affermando come quelle mura non potessero spegnere la vitalità del suo cuore e il grande amore per la vita.

Si rivolge alla casa familiare con odio e disprezzo esclamando:

“Un’ingiusta mano l’ha costruita
Come una tremenda prigione
Per seppellire un’innocente,
quale io sono
È passato molto tempo, ma è rimasta 
In piedi come una maledizione eterna.
Ho guardato le sue lugubri mura, impolverate
dai lunghi secoli, gridando
-O figlie dell’ingiustizia, siate maledette
Mi togliete la luce e la libertà
Ma non potrete spegnere nel mio cuore
Il canto dello spirito……..
Maledette, potete soffocare ogni sogno 
Che rinverdisce ed alimenta il mio cuore,
ma il mio cuore non cesserà di sognare
anche se sarà chiuso in una tomba.”

Fadwa Tuqan

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