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Harem – Seconda parte

L’islam legalmente e culturalmente riconosce alla donna un grande e incontrollabile potere. La donna è il simbolo della differenza, dell’altro, dello straniero. Proprio per questo nel 1979 l’Imam Khomeini decise di imporre loro il velo per garantire quell’omogeneità che la figura femminile che faceva bella mostra di sé avrebbe potuto compromettere. Come le minoranze anche le donne hanno diritto di voto ma l’essere invisibili illude che l’omogeneità sia garantita.

Il filosofo Kant definitiva il femminile Bello e il maschile Sublime. La punizione per la donna bella che avesse osato diventare intelligente consisteva nel trasformarsi in brutta. L’unica differenza tra il filosofo tedesco e un Imam musulmano è che per quest’ultimo alle donne appartiene lo spazio privato, agli uomini quello pubblico. Per Kant alle donne è riservata la bellezza, agli uomini l’intelligenza. Il sapere non solo attenua il fascino femminile ma la sua esibizione addirittura lo vanifica.

Nello stesso momento in cui, intorno al 1920, Matisse dipingeva le donne turche schiave nell’harem, Kemal Atatürk garantiva alle donne il diritto di ricevere un’educazione, di votare e di essere elette. L’istituzione dell’harem fu attaccata perché la reclusione delle donne avrebbe ostacolato il progresso e madri ignoranti avrebbero allevato figli ignoranti. Nel 1926, in base al nuovo Codice Civile, la poligamia fu dichiarata fuori legge, e a entrambi i coniugi fu riconosciuto uguale diritto al divorzio, le madri avrebbero avuto la custodia dei figli e fu avviata una campagna contro il velo.

Harun ar-Rashid fu Califfo di Baghdad tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Apparteneva alla dinastia degli Abbasidi e viveva senza remore una vita sessuale ricca e appagante dichiarando i propri sentimenti nei confronti di donne passionali che, secondo lui, lo mettevano però in una condizione di vulnerabilità. Veniva descritto come bello e intelligente e poiché sosteneva che la bellezza del corpo è strettamente connessa a quella dell’anima, promosse tutta una serie di attività sportive: partite di polo, tornei di tiro con l’arco, giochi con pallone e racchetta affinché la salute e il benessere fisico garantissero serenità e bontà d’animo. La sua vita fu un perfetto equilibrio tra ragione e passione.

Aveva circa duemila ğāriyya (in arabo “schiava nell’harem”), perlopiù straniere provenienti dai territori conquistati e quindi dotate dei talenti più disparati, secondo la loro terra di origine. Particolarmente apprezzato il canto e l’eloquio e più l’elenco delle loro capacità era lungo più il prezzo per averle sarebbe stato alto. L’amore inteso come energia è un forte impulso e diventa un’idea centrale del misticismo islamico. Esso consente di andare oltre, di imboccare direzioni che non si sarebbero mai prese, si rivela quindi un’avventura che potrebbe essere rischiosa, soprattutto per un Califfo. Ecco perché Harun pianificava il piacere (mağlis, dal verbo ğalasa = sedersi) così come le battaglie, con il fine ultimo di trovare il giusto equilibrio (wasat) tra i due.

Di seguito, infine, si riportano alcuni riferimenti utili a completare il quadro fin qui tracciato:

  • Ibn al Giawazi, giurista e teologo del 1200: “la lotta più dura per un leader musulmano non è contro il nemico ma contro le proprie passioni”;
  • secondo Ibn al Giawazi, il profeta indicava la lotta alle passioni come il “grande ğihād”, opposto al “piccolo ğihād” e cioè alla lotta contro un nemico esterno (ğihād significa sforzo, miglioramento del credente, anche se a volte il termine viene utilizzato nel significato di “guerra santa”).

(Fonte: L’harem e l’Occidente di Fatema Mernissi, Giunti Editore, 2009)

(Fine seconda e ultima parte)