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Lo sport non conosce confini

Fino a pochi anni fa la maggior parte delle Federazioni sportive vietava l’uso dell’hijab per motivi di sicurezza, perché avrebbe potuto staccarsi o causare problemi di traspirabilità, non essendo un indumento adatto alle attività agonistiche.

Nel 2014 è stato finalmente consentito di praticare sport indossando il velo. L’atleta che più di tutte si è battuta per questo è stata Asma Elbadawi, poetessa sudanese-britannica, attivista, giocatrice di basket e allenatrice. È diventata famosa proprio per aver presentato una petizione con la quale è riuscita a convincere la FIBA (International Basketball Association) a rimuovere il divieto di indossare l’hijab nello sport professionistico.

Asma Elbadawi

Alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 la pakistana Kulsoom Abdullah è stata la prima donna con l’hijab nella storia del sollevamento pesi, la diciottenne Kimia Alizadeh la prima iraniana a vincere una medaglia olimpica nel taekwondo, la coppia egiziana del beach volley, formata da Doaa el Ghobashy e Nada Meawad, sulle spiagge di Copacabana ha sfidato col caratteristico velo i bikini mozzafiato delle avversarie tedesche e la saudita Kariman Abuljadayel si è presentata ai Giochi brasiliani, nonostante il suo governo storcesse il naso, e ha coronato il sogno di correre i 100 metri piani. La schermitrice Ibtihaj Muhammad, di nazionalità statunitense e religione musulmana, ha indossato l’hijab e ha vinto una medaglia di bronzo. Oggi c’è perfino una Barbie che la rappresenta, a dimostrazione di quanto il cambiamento culturale in corso stia abbattendo vecchi stereotipi e sradicando inutili pregiudizi.

Molte aziende hanno saputo approfittare di quest’opportunità. La Nike, per esempio, che non è stata la prima a produrre hijab sportivi, la capsters.com, che li produce già dal 2001, ha creato una linea, la “Nike Pro Hijab”, dedicata alle donne islamiche.